Eva Haberg: “Ho imparato a guardare al futuro con gli occhi dei miei studenti”

Intervistiamo la Dirigente Scolastica della nostra Scuola Media, per approfondire obiettivi e metodi educativi.

Dopo tanti anni alla Scuola Montessori di Bergamo tra infanzia e bambini ha intrapreso questo percorso. Come mai?

«Dopo aver trascorso diversi anni a coordinare il progetto didattico della Scuola Montessori ho avvertito il desiderio di creare un percorso nuovo, interamente indirizzato verso una fascia d’età molto diversa da quella a cui ero abituata, ma comunque vicinissima in termini puramente anagrafici. Nella mia precedente esperienza di vita e lavorativa in Norvegia in realtà avevo già avuto modo di confrontarmi con la scuola secondaria di primo grado, ma il tutto era inserito in un progetto completamente diverso rispetto a quello strutturato e offerto in Italia. Vedevo l’entusiasmo dei ragazzi, la voglia di “fare”, la curiosità di imparare e il desiderio di conoscere e non capivo come mai in Italia tutta questa passione ed emozione durante gli anni del triennio della scuola media venissero meno o potessero addirittura essere del tutto assenti».

È un problema di apprendimento o di sistema?

«A mio parere, la questione non riguarda gli studenti italiani, ma il sistema scolastico in cui imparano ad apprendere.  La mia fortuna è stata quella di incontrare in quel momento della mia vita, in cui avvertivo la forte ambizione di “buttarmi” in un nuovo progetto, un team di persone altrettanto motivate e appassionate, che avevano il desiderio di trasmettere il loro amore per il sapere e il loro entusiasmo a quelli che sarebbero diventati i nostri studenti».

Gli anni della scuola secondaria di primo grado sono determinanti per la formazione delle competenze e della propria personalità?

«La scuola secondaria di primo grado è un ponte che mette in comunicazione due vissuti  scolastici lunghi e articolati, la scuola primaria e la scuola superiore, e come tutti i ponti e tutti i passaggi, se non sono ben strutturati e armoniosi, il rischio di cadere è alto: sono tre anni che volano, ma che permettono a un bambino di diventare un ragazzo, consentono di passare da un metodo di studio forse appena abbozzato a una capacità di gestirsi in totale autonomia, il tutto collegato da un approfondimento di qualità dei contenuti didattici e dal potenziamento delle qualità personali e umane di ogni studente».

Ritiene che le “qualità personali ed umane” siano quindi fondamentali per il successo formativo del singolo studente tanto quanto la preparazione didattica?

«Assolutamente, mi viene naturale pensare ai cosiddetti “soft skills”: nell’era digitale la scuola non deve solo dare agli studenti competenze digitali e tecnologiche, ma deve soprattutto rafforzare le qualità che non potranno mai appartenere ad un robot come ad esempio lo sviluppo del pensiero critico, la creatività, l’intelligenza emotiva, la capacità di risolvere i problemi e collaborare con altre persone. Recentemente nei nuovi curricoli scolastici scandinavi è stata inserita una nuova disciplina che mira allo sviluppo delle abilità per affrontare la vita. Nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo Italiano non è prevista questa materia, ma la nostra scuola, consapevole dell’importanza dello sviluppo di queste abilità, ha aderito al progetto “Life Skills Training” che ad oggi rappresenta nel panorama mondiale uno dei programmi di maggior successo nello sviluppare le abilità di vita, rinforzandone i relativi fattori di protezione in merito a comportamenti a rischio. La valutazione dei risultati del progetto ha evidenziato differenze significative tra gli studenti coinvolti e non: gli studenti coinvolti dimostrano migliori capacità assertive e comunicative, consumano in misura minore tabacco, alcol e sostanze stupefacenti, possiedono un maggior senso critico ed una maggior capacità di resistere ai condizionamenti esterni. Gli insegnanti coinvolti nel progetto hanno inoltre evidenziato un miglioramento nel clima di classe, che incide positivamente sia sulla didattica che sul rendimento generale. Oltre alle attività strettamente previste dal progetto per lo sviluppo delle abilità di vita, la scuola propone anche attività di yoga e meditazione, per migliorare la concentrazione e la gestione dello stress, e vari progetti legati al mondo di internet e al fenomeno del cyberbullismo, per aiutare così i ragazzi a sviluppare una comunicazione etica e civile».

Quali altri capacità mirate a valorizzare?

«Un altro aspetto molto importante sono le competenze comunicative, anche in lingua straniera. La nostra scuola crede fermamente nel potenziamento della lingua inglese come mezzo di superamento delle barriere linguistiche, con un approccio aperto e curioso alle realtà internazionali. I nostri studenti studiano inglese 8 ore a settimana: proponiamo 3 ore curricolari, 2 ore con l’insegnante madrelingua e 3 ore CLIL (Content and Language Integrated Learning). Oltre alla lingua inglese, gli studenti possono scegliere di studiare tedesco o spagnolo acquisendo le basi per raggiungere il livello A1.

Anche le competenze in matematica e scienze sono fondamentali per affrontare il mondo di domani. La nostra scuola ha creato un nuovo progetto laboratoriale di matematica in collaborazione con MatNet – Università di Bergamo, dove gli studenti devono lavorare insieme per risolvere problematiche reali utilizzando le conoscenze acquisite grazie a questa materia. In scienze invece, uniamo la pratica alla teoria: ogni settimana gli studenti, in piccoli gruppi, eseguono esperimenti in laboratorio per approfondire e capire quanto studiato. In questo modo le esperienze reali vissute in collaborazione con i compagni rafforzano l’interesse e l’apprendimento».

Che cosa intende quando dice che ha “imparato a guardare al futuro con gli occhi dei suoi studenti”?

«La scuola sta preparando i ragazzi di oggi a diventare gli adulti di domani: l’attuale società è in continua evoluzione e i cambiamenti sono radicali e veloci. Nessuno sa come sarà il mondo del lavoro nel 2030. Sicuramente a causa dello sviluppo dell’intelligenza artificiale subirà dei cambiamenti e le competenze richieste saranno diverse. Tutto ciò determina per la scuola un rinnovamento e un ripensamento su come gestire la didattica e la formazione degli studenti».

Perché avete scelto il motto «la scuola che sa imparare»?

«Per prima cosa il sapere è in continua evoluzione e quindi non si smette mai di apprendere. Secondariamente siamo una scuola consapevole del fatto che ogni studente è diverso l’uno dall’altro e quindi non esiste un modello precostituito da abbinare di default ad ognuno di loro, ma va studiato e creato ad hoc; quindi anche noi, come Istituzione in tutte le sue forme, impariamo nell’incontro con i nostri ragazzi. In ultimo, ma non per questo meno importante, crediamo che la mission numero uno della scuola sia stimolare il desiderio e la voglia di imparare in ogni alunno; non dimentichiamoci infatti che quando smetteranno di essere studenti, saranno cittadini a cui viene richiesto di non smettere mai di imparare, secondo il principio del Life Long Learning».

 Con quale pensiero desidera concludere questa intervista?

Mi piace pensare ad una frase che riassume sia il mio pensiero, sia il progetto educativo della nostra scuola: “La scuola prepara alla vita, offre contenuti e strumenti trasversali e forma gli studenti di oggi che saranno i cittadini di domani.


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